Qui di seguito pubblichiamo la seconda metà dell'intervento di Campora sul fenomeno degli pseudomini, dell'anonimato e sulla natura del copy left.
Chiunque fosse interessato a leggere la prima parte di questo intervento, non avrà difficoltà a rinvenirla scorrendo (verso il basso) la home page del Blog, o ckicckando a sinistra, sul link relativo all'archivio di Luglio.
Buona lettura!
txt by Felice Campora
courtesy of www.miserabili.com
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....Un altro ambito di pseudonimia si sta sviluppando oggi in Italia e nel mondo, che lega la letteratura propriamente detta al software; meglio: lega i diritti di tutela delle opere letterarie e quelli del software. Si tratta del fatto che a volte la legge sulla proprietà intellettuale funziona come una vera e propria trappola per la diffusione delle idee e dei saperi. E' nato così il copyleft, un bel gioco di parole che fa il paio con il ben conosciuto copyright. Si tratta, in poche parole, di lasciare che le opere messe in circolazione col sistema copyleft possano essere liberamente utilizzate, divulgate e addirittura modificate a patto che si osservino queste disposizioni: 1) che non lo si faccia a scopo di lucro (nel caso contrario si devono pagare i diritti secondo il sistema del copyright), 2) che si distribuisca l'opera con le stesse disposizioni di partenza e 3) che si citi in fondo allo scritto o al programma il nome del creatore. è una pratica che si sta diffondendo enormemente anche tra le più grandi star della musica, americani in testa. In letteratura accade addirittura che l'autore che scrive qualcosa e la immette sul mercato con la dicitura copyleft usa spesso uno pseudonimo! è il caso del famoso Luther Blisset, un nome usato da più di un individuo; ma anche di Wu Ming. Con questi nomi sono stati pubblicati romanzi e saggi stampati da prestigiosi editori; sono stati vinti premi, organizzati convegni e molto altro. Dietro questi ‘titoli' ci sono persone reali che hanno in gran parte rinunciato alla notorietà e all'idea dello scrittore bravo, ispirato e famoso, chiuso nel suo lavoro. Se per Pessoa si parla di multipla personalità, nel caso di Blisset e Wu Ming si parla di nomi collettivi, cioè lo stesso nome usato da più persone. Tra l'altro, la lingua inglese in questo caso aiuta a riempire il copyleft di un significato politico. Infatti left è il participio passato del verbo lasciare, significa quindi lasciato, cioè: ‘diritto d'autore lasciato' -cosa che in effetti l'autore fa: lascia agli altri il diritto di utilizzare la sua opera (sempre a condizione, come detto prima, che non la si usi a scopo di lucro, che si continui a usare il copyleft e che si citi la fonte). Però in inglese right oltre che diritto (in senso legislativo) significa anche destra, mentre left, guarda caso, oltre che lasciato significa anche sinistra! Il tema ha davvero un aspetto storico di grande rilievo, e non certo solo per questo gioco linguistico. Non mancano infatti quotidianamente casi di attualità politica (proibizione a pubblicare, sequestri di server, politiche sulla privacy, sviluppo di sistemi planetari di controllo sociale, strane intrusioni sulle linee telefoniche, anonime rivendicazioni di crimini via internet, commercio illegale di nomi e indirizzi) che possono testimoniare quanto il mercato mondiale della comunicazione subisca ovunque un forte e continuo controllo. Ci sono persino seri teorici che si posizionano ancora oltre i territori della sinistra, e che credono che la pseudonimia, il nome collettivo o l'anonimato possano addirittura funzionare come una leva per scardinare un sistema sociale e politico superautoritario che sulla identificazione fonda le basi della propria sopravvivenza. Si tratterebbe di vera e propria ribellione intellettuale a una logica dove i ricchi (editori, proprietari di mezzi di informazione e comunicazione, grandi aziende dell'informatica) si fanno sempre più ricchi mentre il 99,9% della popolazione deve per forza di cose ascoltare e consumare tutto quello che essi decidono di far circolare o di trasmettere; è una specie di lotta che si attua in modo non violento e, soprattutto, senza commettere alcun reato.
Copyleft a parte, sono molti ormai nel mondo gli artisti, gli scrittori, gli informatici, ma anche i grandi musicisti che decidono di far circolare le loro opere con la dicitura è permessa la duplicazione senza scopo di lucro. In questo modo le idee e i saperi circolano più liberamente, mentre (Wu Ming ne è uno straordinario esempio) si scopre addirittura che questa pratica non è in contrasto con la vendita del prodotto: anzi, più lo rendi libero più si vende, come l'alcol dopo il proibizionismo negli Stati Uniti degli anni Trenta - proibire, infatti, è un verbo che i ricchi e potenti amano usare con particolare frequenza. C'è da dire che anche qui in Calabria sono cominciate a circolare opere con questo sistema, senza copiare idee nate altrove, ma partorendole autonomamente e in seguito a storie e esperienze locali, segno che i giovani della Regione partecipano a questi movimenti sociali con grande spirito innovativo, puntualità e naturalezza. Sulla scia di Donnu Pantu.
Potrebbe essere allora vero che, quando parte con un progetto creativo, l'Autore che usa uno pseudonimo rinnega la sua ordinaria personalità e si prepara ad adottare un nuovo punto di vista. Questo semplice passaggio forse lo allontana dal mondo, funzionando proprio come un innocuo click che in un momento lo libera dalle catene della quotidianetà. A questo proposito scriveva l'agitatore e scrittore politico russo Michail Bakunin negli ultimi anni del 1800: "Gli uomini ci appaiono come esseri assolutamente e fatalmente determinati. Determinati prima di tutto dalla natura circostante, dalla configurazione del suolo e da tutte le condizioni materiali della loro esistenza; determinati da innumerevoli rapporti politici, religiosi e sociali, dai costumi, dagli usi, dalle leggi, da tutto un insieme di pregiudizi o pensieri elaborati pian piano nei secoli e che essi nascendo trovano già pronti in quella società di cui non sono affatto i creatori, ma dapprima i prodotti e poi, più tardi, gli strumenti." Ecco: con un semplice cambiamento di nome alcuni autori riescono ad assumere un punto di vista nuovo e enormemente più libero da cui guardare l'intero mondo, come se per magia si scrollassero di dosso tutto quello che Bakunin ha individuato così chiaramente. Richiudiamo la porta che dà sul nulla: l'Autore in questo modo non si nasconde; la scelta della pseudonimia non è pavida - è un semplice meccanismo, banale ma utilissimo nell'arte, come lo è un cacciavite per liberare una vite dal legno. O per ficcarcela.
Allora mettiamola così: se una persona usa per la propria attività creativa uno pseudonimo può anche darsi che abbia dei problemi con la comunità in cui vive, o che la comunità (e per esteso il mondo intero), a suo parere, abbia dei problemi con lui. Problemi del tipo che non c'è giustizia, per esempio - la giustizia sociale è importante. O che non sono garantite libertà fondamentali, come quelle del libero scambio di idee, persone, merci. Ecco, di questo non ne posso essere sicuro al cento per cento, ma a volte penso che la scelta pseudonimica si eserciti maggiormente quando l'autore ritiene che la società in cui vive sia autoritaria o conformista, o religiosamente fondamentalista. Quando per esempio grandi criminali commettono abusi e non sono condannati e invece i piccoli ladri vanno sistematicamente in galera. O quando c'è paura di dire le cose per come stanno; non le puoi dire perché altrimenti passi i guai. Quando le verità non si possono dire perché se no si va in galera e invece si devono dire (specialmente in pubblico) le bugie per fare carriera e soldi o almeno per starsene tranquilli. Quando allora l'Autore ritiene che il mondo si trovi in questa situazione o in una simile, e vuole in qualche modo distaccarsene, ecco che è più facile che nasca l'esigenza dello pseudonimo. Emblematico è il caso dello scrittore irlandese Oscar Wilde, uno dei più grandi geni in assoluto della letteratura mondiale, il quale dopo essere uscito di prigione ha scritto due delle sue migliori opere firmandosi con un altri nomi: una volta C.3.3. (un numero di matricola della prigione di Reading) e poi Sebastian Melmoth, sinistro nome contenuto in un certo romanzo gotico. E chissà se anche Michele Pezza, meglio conosciuto come l'imprendibile brigante Fra Diavolo (primi anni del 1800), non provasse una sensazione simile nel riconoscersi più con quel diabolico nome che con quello anagrafico. Anche Pablo Neruda potrebbe aver provato un qualcosa di simile, o George Orwell - chi se li ricorda più i loro veri nomi? Allora aveva proprio ragione William Shakespeare a far dire a Giulietta Capuleti: "Cosa c'è in un nome?"
E se invece come nel film Matrix (Andy and Larry Watchoski, 1999) noi e il mondo non fossimo altro che un programma che sta girando su una enorme rete di computer? A questo punto a chi importerebbe più del nome? Come uno si chiama o come non si chiama. Ciò che è importante a questo punto sarebbe cosa stai facendo. Cosa dici e come lo dici, cosa comunichi nell'animo del tuo spettatore, che scopi ha l'opera che hai creato, come si configura nel mondo e che ruolo vi svolge. E il nome dell'Autore a questo punto non ha più alcuna importanza, reale o fittizio che sia; è solo l'opera che si pone davanti ad ogni cosa. Dopotutto, pochi sanno chi ha composto il brano musicale Autumn Leaves -l'autore è Joseph Cosma. Ma se al suo posto ci fosse un altro nome, cosa cambierebbe? Niente. L'avvolgente brano (si muove su ciclici passaggi di accordi di quarte) interpretato dai più grandi jazzisti rimarrebbe sempre quella cosa magica che è. E allora forse fanno davvero bene quelli che giocano sui nomi. Perché il nome non ha alla fine alcuna importanza nel nudo processo di lavorìo dell'opera tra gli umani - come ben sapevano molti antichi cantori di gesta epiche o di numerosissime ballate medioevali: tutti anonimi. Il nome in certi contesti si pone addirittura come un ostacolo alla piena comprensione dell'opera, che è il solo oggetto per cui vale la pena lavorare. Dal punto di vista economico, è naturale che l'Autore riceva dei compensi quando la sua opera è oggetto di altrui guadagno, ma dal punto di vista storico la relazione tra la sua persona è l'opera è in pratica molto vicina al nulla. Il nome di chi scrive diventa così un puro artificio, un semplice costume. L'Autore in teoria può avere qualsiasi nome - o non averne proprio.
Per contatti: Felice Campora, Gradinata San Bernardino 19A, 87032 Amantea (CS), fecamporaATtin.it
-bIGGER, lONGER & uNCUT!!- ..spazio privilegiato dello snipe politicamente scorretto o di qualsiasi altra facezia a vela, e non.
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16 luglio 2005
De pseudonimini, anonimi et copy left! -2ndo Atto-
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